Criptovalute, calcolo imposte e sanzioni in caso di regolarizzazione
1. La possibilità di regolarizzare la detenzione di valute virtuali da un punto di vista fiscale.
Con la recente risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate del 1° Agosto 2022, n. 397, è stato chiarito che anche i “cripto possessori/investitori” di valute virtuali potranno accedere al regime attrattivo dei cd. neo-residenti, previsto dall’art. 24 bis del TUIR.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, ai fini del reddito delle persone fisiche, alle operazioni aventi ad oggetto valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.
È stata, inoltre, ammessa la possibilità di accedere al regime agevolativo della flat tax con l’applicazione della tassazione pari a 100.000 euro annuali, sui redditi da cripto asset.
In questa stagione che, con tutta probabilità, condurrà (nel collegato alla finanziaria) ad una nuova Legge di Voluntary Disclosure italiana, è stata finalizzata la prima operazione di “accertamento volontario” avente ad oggetto cripto assets.
L’operazione ha visto il coinvolgimento dell’Agenzia delle Entrate di Milano, Direzione Centrale, settore contrasto illeciti internazionali: sostanzialmente un contribuente, possessore di criptovalute, mai dichiarate al fisco, ha chiesto di essere sottoposto ad accertamento al fine di rendere gli assets regolari da un punto di vista fiscale e poterne, conseguentemente, disporre liberamente.
La Voluntary Disclosure (accertamento volontario) ha consentito al contribuente di accedere ad un trattamento sanzionatorio agevolato.
Peraltro, è notizia dell’8 Novembre 2022 (n.d.r. ieri) che il vice – Presidente della Commissione Europea ha annunciato l’intenzione di presentare una proposta legislativa per l’introduzione dell’euro “digitale”.
Non si possono, ad oggi, valutare le ricadute, all’indomani di quella che sarà la nascita dell’euro digitale, in termine di valore delle valute virtuali in circolazione, nonché, della loro esistenza.
2. Definizione di criptovaluta e giurisprudenza di riferimento italiana e comunitaria.(1)
Le criptovalute intese come asset class sembrano essere ignorate in Europa, a differenza di quanto accade in USA e UK.
L’affermazione è di Nicolas Bertrand, consulente e stratupper di prodotti finanziari, validati dalla borsa.
La regolamentazione deve essere considerata come “qualcosa di positivo” che non vada, però, a compromettere il processo di innovazione oramai in essere.
Il Tesoro inglese ha espresso la volontà di ricercare un ambiente positivo per lo sviluppo di criptoasset nel Regno Unito.
Gli USA(2) hanno emanato un “ordine esecutivo”, concernente la supervisione governativa della criptovaluta.
Nell’ambito del panorama giurisprudenziale, ad oggi ancora non abbastanza articolato, di sicuro interesse appare la pronuncia del Tribunale di Firenze, sezione fallimentare, del 21 gennaio 2019, n. 18.
Il Giudice, pur rilevando la “naturale vocazione(3)” della criptovaluta quale mezzo di pagamento, l’ha qualificata come bene giuridico fungibile.
La vicenda, nel fatto, riguardava una piattaforma “custodial exchange” di valute virtuali che, a causa di numerose attività connotate da fraudolenza, non è stata più in grado di restituire le criptovalute detenute per conto dei clienti.
Il Tribunale ha qualificato il rapporto tra i clienti e la piattaforma, da un punto di vista giuridico, quale “deposito irregolare”: facendone derivare l’obbligo, per la piattaforma depositaria, alla restituzione di un ammontare di criptovalute pari a quello ricevuto.
L’incapacità della piattaforma di far fronte alle obbligazioni assunte ne determinava il fallimento determinando, altresì, la valorizzazione della criptovaluta quale oggetto del contratto di “deposito irregolare” e non quale mezzo di pagamento.
Il Tribunale di Verona e la Suprema Corte di Cassazione hanno, viceversa, considerato prevalente la funzione di investimento insito nella criptovaluta.(4)
Di particolare interesse, da un punto di vista fiscale, è, poi, la pronuncia del TAR Lazio(5), che ha aderito alla qualificazione della criptovaluta quale “valuta estera” ed ha decretato l’estensione alla stessa della normativa in materia di monitoraggio fiscale.
Per quanto la giurisprudenza europea, di particolare interesse è la decisione della Corte di Giustizia Europea (Hedqvist), del 2015(6), che ha declinato il trattamento fiscale, in materia di IVA, relativamente alle operazioni consistenti nel cambio valuta da moneta “tradizionale” a bticoin e viceversa.
La Corte ha statuito che tali operazioni rientrano nel campo di applicazione dell’imposta, benché debbano essere considerate quali “operazioni esenti”.
Sostanzialmente, i Giudici Europei hanno considerato il bitcoin quale valuta virtuale avente finalità similare ad altri mezzi di pagamento e, al pari delle valute tradizionali, non deve essere considerato un bene materiale ai sensi dell’art. 14 della Direttiva 2006/112/CE.
In Italia l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 72 del 2016, ha sposato la tesi che vede l’equiparazione della moneta virtuale alla valuta estera.
L’interpretazione non sembra potersi sposare tout court, stante la a-territorialità (per definizione) della criptovaluta.
Evidentemente, l’inquadramento a monte della natura giuridica della criptovaluta, non può che incidere sul conseguente trattamento fiscale.
In numerosi altri Paesi (Spagna, Francia, Lussemburgo, Gran Bretagna) le criptovalute sono definite quale “bene immateriale” (di contra, Brasile, Israele e Germania considerano la criptovaluta quale strumento finanziario).(7)
3. Acquisto delle criptovalute e loro utilizzo, rischi correlati.
Le cripto valute vengono acquistate su piattaforme digitali, cd. exchange (le più note sono Coinbase, Upbit e Binance), e vengono “depositate” su appositi “portafogli elettronici” denominati wallet.
Le cripto valute vengono detenute su tali portafogli elettronici e possono essere riconvertite in euro o utilizzate per effettuare pagamenti a favore di altri soggetti (anch’essi titolari di wallet) che le accettano come mezzo di scambio.
Quindi, a seconda dell’utilizzo le valute virtuali possono essere utilizzate sia come strumento di investimento che come mezzo di scambio per effettuare pagamenti.
I rischi correlati alla gestione delle cripto valute possono essere identificati in:
- rischio “riciclaggio”, concernente l’origine dei fondi utilizzati per il loro acquisto e l’elusione di tutti i presidi voluti dalla normativa AML (da tempo di respiro internazionale);
- rischio “hackeraggio”, nel caso di sottrazione della chiave di accesso al wallet;
- rischio “volatilità”, continua oscillazione del valore della moneta virtuale in quanto non ancorata ad alcun valore di riferimento.
4. Il trattamento tributario, ai fini IVA, delle “transazioni” effettuate in moneta virtuale.(8)
Per quanto la giurisprudenza europea, di particolare interesse è la decisione della Corte di Giustizia Europea (Hedqvist), del 2015(9), che ha declinato il trattamento fiscale, in materia di IVA, relativamente alle operazioni consistenti nel cambio valuta da moneta “tradizionale” a bticoin e viceversa.
La Corte ha statuito che tali operazioni rientrano nel campo di applicazione dell’imposta, benché debbano essere considerate quali “operazioni esenti(10)”, così come previsto dall art. 10, primo comma, n 3 del DPR n 633/72.
5. Il trattamento tributario, ai fini imposte dirette, delle “transazioni” effettuate in moneta virtuale.
Punto di riferimento per il trattamento tributario ai fini imposte dirette è la risoluzione n. 72/E/2016 dell’Agenzia delle Entrate.
L’assunto dell’Amministrazione Finanziaria è quello di assimilare le valute virtuali a quelle tradizionali, con la conseguente applicazione della disciplina di cui all’art. 67 del TUIR.
Si tratta, in sostanza, di redditi diversi di natura finanziaria.(11)
6. Le modalità di calcolo delle imposte e la base imponibile.
Per valutare se la plusvalenza realizzata con la conversione in euro delle criptovalute (cessione a pronti) sia fiscalmente rilevante, occorre verificare che si sia avuto il superamento del limite di giacenza previsto dall’art. 67 comma 1-ter del TUIR (51.645,69 euro), soglia che deve essere calcolata sommando le giacenze dei singoli depositi (wallet) accesi dal contribuente. Il valore delle monete virtuali dev’essere calcolato sulla base del cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, ossia il cambio del 1° gennaio dell’anno nel quale si verifica la cessione
Ai fini del calcolo della plusvalenza è necessario confrontare il controvalore in euro della moneta virtuale ceduta (accredita sul wallet della piattaforma il giorno della cessione) con il costo di acquisto della stessa. L’aspetto da evidenziare è che la plusvalenza si realizza ai fini fiscali per il solo fatto di cedere la valuta virtuale, indipendentemente dal fatto che il controvalore realizzato sia costituito da valuta fiat, oppure da criptovaluta. Pertanto, anche i passaggi da criptovaluta all’altra sono rilevanti ai fini della determinazione della plusvalenza tassabile.
Si precisa che per la determinazione della plusvalenza occorre applicare la disposizione di cui all’art. 67 comma 1-bis TUIR, per effetto della quale si considerano cedute per prime le Criptovalute acquisite in data più recente.
Ai sensi dell’art. 5 comma 2 D.Lgs. 461/97 le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere sono soggette a imposta sostitutiva del 26%.
Nel caso in cui siano realizzate solo minusvalenze, il contribuente non dovrà nulla al fisco (minusvalenze possono essere utilizzate nell’esercizio in corso e nei quattro successivi per la compensazione con altre plusvalenze realizzate dal contribuente anche se non originate dalla compravendita di criptovalute).
7 La Certificazione rilasciata dall’intermediario che gestisce la piattaforma exchange.
La certificazione rilasciata dall’intermediario con cui si effettua trading sulle valute virtuali ha importanza fondamentale. È sulla base di questa documentazione che è possibile predisporre la dichiarazione dei redditi o procedere alla regolarizzazione sulla base di un accertamento volontario.
Per avere una gestione fiscale più semplice è possibile pensare ad una gestione delle criptovalute con il regime del risparmio amministrato. Si tratta di un regime di tassazione applicato direttamente dall’intermediario, ai sensi dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 461/97.
Questo consente al contribuente di non includere i redditi diversi di natura finanziaria nella propria dichiarazione dei redditi derivanti dall’impiego di valute virtuali.
8 Gli obblighi di monitoraggio fiscale.
Con la risposta ad interpello n. 788/E/2021, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che le valute virtuali anche se detenute in wallet privati devono comunque essere indicate nel quadro RW ai fini del monitoraggio fiscale. Questo significa che la mera detenzione di valuta virtuale a titolo personale, senza l’intervento di exchange, è comunque considerata elemento valido per gli adempimenti connessi al monitoraggio fiscale.
La disciplina sanzionatoria relativa al monitoraggio fiscale viene, infatti, diversificata a seconda del luogo in cui le attività finanziarie non dichiarate vengono detenute. Qualora le stesse risultino detenute in Paesi “black list“, le sanzioni risultano sono raddoppiate (dal 6% al 30%, anziché dal 3% al 15% del valore dell’attività finanziaria non dichiarata).
Milano, 9 Novembre 2022
Avv. Andrea Mifsud
MDS LEGAL TAX
Note e Fonti
- Andrea Mifsud, AML&FINTECH, n. 3/2022, pag. 34 ess.
- Rosy Dell’Atti, AML&FINTECH, n. 1/2022, pag. 133 e ss.
- Antonio Tomassini, Criptovalute, NFT e Metaverso Teoria e Pratica del Diritto, Giuffrè, 2022, pag. 58 e ss.
- Tribunale di Verona, sez. II civ., 24 gennaio 2017, n. 197 e Cassazione Penale, sez. II, 2 ottobre 2020, n. 26807.
- TAR Lazio, sez. II-ter, 27 gennaio 2020, n. 1077.
- Causa C-264/14, sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 22 ottobre 2015 (Skatteverket vs David Hedqvist).
- Antonio Tomassini, Criptovalute, NFT e Metaverso Teoria e Pratica del Diritto, Giuffrè, 2022, pag. 73.
- Federico Migliorini, Criptovalute in dichiarazione dei redditi: guida pratica, Fiscomania.com, 4 Aprile 2022.
- Causa C-264/14, sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 22 ottobre 2015 (Skatteverket vs David Hedqvist).
- Nella classificazione delle operazioni IVA, affinché un’operazione commerciale sia imponibile IVA la normativa di riferimento prevede la sussistenza di tre presupposti:
- presupposto oggettivo, nel senso che deve trattarsi di un’operazione che ai fini IVA possa essere inquadrata come “cessione di beni” o “prestazione di servizi”;
- presupposto soggettivo, nel senso che l’operazione deve essere realizzata nell’esercizio di impresa, arte o professione;
- presupposto territoriale, nel senso che l’operazione considerata deve essere effettuata in Italia.
Le operazioni esenti IVA, di cui all’articolo 10 del D.P.R. 633 del 1972, sono quelle operazioni che, per ragioni sociali o tecniche, sono escluse dal campo di applicazione IVA per esplicita previsione normativa. Tuttavia, trattandosi di operazioni che soddisfano tutti e tre i presupposti IVA, le operazioni esenti IVA articolo 10 danno luogo al sorgere di una serie di adempimenti formali (fatturazione, registrazione, ecc.)
- Art. 67 TUIR: Per le valute estere il criterio prescelto è quello di assoggettare a tassazione solo le plusvalenze derivanti da cessione a titolo onero delle valute di cui sia acquisita o mantenuta la disponibilità ai fini d’investimento.Al fine, comunque, di evitare di attrarre a tassazione fattispecie non significative la tassazione delle cessioni di valute rinvenienti da depositi o conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza massima dei depositi intrattenuti dal contribuente superi i 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi.
Presupposti per l’applicazione delle imposte dirette sono:
- le cessioni a termine di valute estere sono sempre rilevanti fiscalmente, indipendentemente dalla situazione possessoria (stock “annuale” delle valute estere) del soggetto cedente;
- le cessioni di valute rinvenienti da depositi o conti correnti e i prelievi di valute estere da depositi o conti correnti sono fiscalmente rilevanti a condizione che la relativa giacenza sia superiore alla soglia descritta in precedenza;
- i prelievi di valuta virtuale dal conto corrente, con lo scopo di tassare il maggior valore che la valuta estera ha acquisito da quando il contribuente l’ha acquisita e mantenuta ai fini di investimento
Inoltre, le cessioni “a pronti” di valute estere sono, dunque, fiscalmente rilevanti se le valute oggetto di cessione sono immesse in un deposito o conto corrente del contribuente e se lo stock di valute estere ha superato, nell’anno, il limite di giacenza previsto dal comma 1-ter dell’art. 67 del TUIR.
Costituiscono redditi diversi di natura finanziaria: “le plusvalenze […] realizzate mediante cessione a titolo oneroso […] di valute estere, oggetto di cessione a termine o rinvenienti da depositi o conti correnti “. Per cessione a titolo oneroso si intende anche “il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente “. Comma 1, lett. c-ter);
“Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a € 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continui“. Comma 1-ter).
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